I rassegnati by Tommaso Labate

I rassegnati by Tommaso Labate

autore:Tommaso Labate [Labate, Tommaso]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli


Il decreto

Il 7 agosto 2018, al termine di un iter parlamentare durato meno di un mese, il decreto dignità varato a inizio luglio dal governo presieduto dal professor Giuseppe Conte è stato convertito definitivamente in legge dello Stato. Le opposizioni avevano, sulle prime, aspramente criticato la scelta di ricorrere allo strumento del decreto legge, che tra i suoi effetti collaterali contiene anche quello – tutt’altro che trascurabile – di ridurre quasi all’osso il dibattito parlamentare.

Esistevano i requisiti di «necessità e urgenza», quelli che per Costituzione sono necessari per varare un decreto che ha immediatamente forza di legge? No, secondo le opposizioni. Sì, secondo la maggioranza.

La risposta definitiva sta nel giudizio che ciascuno di noi dà al contenuto e agli stravolgimenti normativi che il decreto produce, tanto per dirne una, rispetto alle precedenti leggi sul lavoro, e cioè il jobs act approvato nel 2014 dal governo Renzi.

Se stessimo al nome con cui è stato ribattezzato l’intervento, i requisiti di necessità e urgenza sulla carta ci sono tutti: se c’è un problema di «dignità», quel problema va risolto necessariamente e con urgenza.

Il bersaglio principale della maggioranza è il precariato, e cioè quella condizione contrattuale fatta di continue scadenze e tutele irrisorie che s’è trasformata in una condizione di vita soprattutto per quei quaranta-cinquantenni che hanno imboccato la strada della Rassegnazione.

La domanda della massaia: il decreto lo colpisce, questo benedetto «precariato», oppure no?

Se considerassimo la Rassegnazione come elemento mediano di tutti i precari, la risposta è no. Il decreto dignità del governo Conte abbassa da trentasei a ventiquattro mesi le possibilità di rinnovo di un contratto a tempo determinato, la tipologia più simile all’indeterminato (ci sono i contributi, le ferie, la malattia, la maternità). Cambia la durata, certo: il tempo determinato ha una fine, l’indeterminato teoricamente (molto teoricamente, dopo l’abolizione dell’articolo 18) no. Ma la sostanza, a contratto vigente, per il lavoratore è praticamente la stessa.

Dicevamo della Rassegnazione come dato del problema: se consideriamo la media dei lavoratori a tempo determinato come una massa multiforme che non si autoriconosce alcuna «coscienza di classe», che rimane ferma e non lotta, il primo provvedimento manifesto del governo Conte sarà una iattura del diavolo. Si perderanno dodici mesi di lavoro – qualcosa si recupererà con l’indennità per licenziamento illegittimo riconosciuta al lavoratore alla fine del rapporto, che viene aumentata rispetto ai provvedimenti del jobs act e del decreto Poletti – ma il saldo sarà negativo. Le aziende che prima facevano rinnovi fino a trentasei mesi adesso si fermeranno a ventiquattro o a un anno. È lo scenario previsto, tra gli altri, dal presidente dell’Inps Tito Boeri, che pur partendo da una proiezione ottimistica – e cioè con la stragrande maggioranza dei contratti a tempo determinato che si trasforma in posto fisso – calcola che «almeno inizialmente» il provvedimento potrebbe avere «un impatto negativo sull’occupazione». Ottomila lavoratori in meno all’anno, che su base decennale fanno ottantamila. Questo è il calcolo.

Uno dei primi ottomila, il biellese Simone Bonino, esce allo scoperto col suo account di Twitter aperto a



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